Cappotto in fibra di legno.
Tanto si parla di classi energetiche, cappotti e isolanti e poco si sa.
O meglio, tutti ne sanno e parlanoparlanoparlano… che è Come quando fai un figlio, o due. Che tutti sanno cosa è giusto e cos’è sbagliato con estrema certezza.
Io guardo fare e non mi sembra male.
Il nostro è davvero un cappotto sartoriale perché le facciate sono irregolari e tutte diverse.
Sono in sei che ci lavorano e da un piano all’altro del ponteggio sento numeri: 18 per 36, e poi 42 per 60 di quello da quattro. La nostra casa non ha molti angoli retti e star dietro a spigoli e finestre non è cosa semplice.
Poi ci sono gli impianti che corrono esterni, e anche su quelli va sagomato l’isolante facendo ben attenzione a fissare le viti che lo tengono ancorato, senza far danni.
Ogni fessura, foro, incastro va sigillato per la tanto discussa “tenuta all’aria”.
Un sessantottenne paziente e meticoloso è al taglio.
Lui recepisce i numeri, chiede conferme e procede.
Altri provvedono a sagomare gli spessori intorno ai 21 fori. 21, tra porte e finestre.
E poi tubi, scarichi, ventilazione del vespaio.
Ecco io questo cappotto in fibra di legno non lo posso più vedere.
Non lo voglio più vedere.
Voglio retina, intonaco e colore. E voglio scegliere i colori dell’intonachino tra quelli campionati oggi e quelli che mancano.
Manca ancora il rosso della porta d’ingresso e quello del terrazzo a sud.
Poi per i colori ci si rivede dentro, con le palette del rivestimento a calce nei bagni e la pittura a smalto nelle docce, con le due pareti della cucina e le pochissime delle camere che non riesco a immaginare solo bianche.
Anche se con il bianco non si sbaglia mai.
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